Carlo Crivelli, Madonna con Bambino (1480), Metropolitan Museum of Art

« … mi domando che cosa ho conservato di abruzzese e debbo dire, ahimè, tutto; cioè l’orgoglio di esserlo, che mi riviene in gola quando meno me l’aspetto. … Tra i dati positivi della mia eredità abruzzese metto anche la tolleranza, la pietà cristiana (nelle campagne un uomo è ancora “nu cristiane”), la benevolenza dell’umore, la semplicità, la franchezza nelle amicizie; e cioè quel sempre fermarmi alla prima impressione e non cambiare poi il giudizio sulle persone, accettandole come sono, riconoscendo i loro difetti come miei, anzi nei loro difetti i miei.

Tra i dati negativi della stessa eredità: il sentimento che tutto è vanità, ed è quindi inutile portare a termine le cose, inutile far valere i propri diritti; e tutto ciò misto ad una disapprovazione muta, antica, a una sensualità disarmante, a un senso profondo della giustizia e della grazia, a un’accettazione della vita come preludio alla sola cosa certa, la morte: e da qui il disordine quotidiano, l’indecisione, la disattenzione a quello che ci succede attorno.

Bisogna prenderci come siamo, gente rimasta di confine, con una sola morale: il Lavoro. E con le nostre Madonne vestite a lutto e le sette spade dei sette dolori ben confitte nel seno.

Amico, dell’Abruzzo conosco poco, quel poco che ho nel sangue. Me ne andai all’età di cinque anni, vi tornai a sedici, a diciotto ero già trasferito a Roma, emigrante intellettuale, senza nemmeno la speranza di ritornarci.

Ma le mie estati sono abruzzesi, e quindi conosco bene dell’Abruzzo il colore e il senso dell’estate, quando, dai treni che mi riportavano a casa da lontani paesi, passavo il Tronto e rivedevo le prime case coloniche coi mazzi di granturco sui tetti, le spiagge libere ancora, i paesi affacciati su quei loro balconi naturali di colline, le più belle che io conosca»

(E.Flaiano, tratto da Lettera all’amico Pasquale Scarpitti)

Ennio Flaiano, abruzzese di nascita, è scomparso esattamente da cinquant’anni, un tempo infinitesimo nella logica della Grande Storia ma enorme per il vuoto che ci ha lasciato. Il suo pensiero così acuto e ironico, già critico e in crisi di fronte ai mutamenti innescati dal dopoguerra chissà come giudicherebbe le derive sociali che stiamo vivendo nel nuovo millennio. Mi sono convinto che forse avrebbe scelto di chiudersi in sdegnoso silenzio ritirandosi finalmente tra le colline della sua terra d’origine.

Per un puro gioco del caso – oppure no perché le antiche origini familiari di mia madre provengono da questi luoghi e quindi è qui che dovevo tornare – frequento da tempo i crinali delle colline verdi e pettinate che circondano la linea del fiume Tronto, confine storico tra Marche e Abruzzo, tra Chiesa e Regno, tra Roma e Napoli, ma per molti secoli elemento geografico comune e unificante dell’antico popolo Piceno che nei pressi delle sue acque ha sviluppato necropoli straordinarie per vastità e ricchezza.

Amo muovere il mio sguardo nell’orizzonte dominato dalle linee morbide e tonde dei rilievi di questa terra, interrotte ogni tanto sulla cima dalla sagoma di antichi borghi che spuntano graziosi e ordinati, gli stessi evocati dalle matite di Tullio Pericoli che proprio qui, anche lui!, è nato, oppure che compaiono brillanti alle spalle delle mirabili Madonne di Carlo Crivelli veneziano, che nel Piceno trovò la sua fortuna fino alla fine dei suoi giorni.

Percepisco netto in questi luoghi un senso della vita più equilibrato, più al centro rispetto a quegli estremi che ci consumano nel nostro quotidiano esistere metropolitano, quella medietas latina che è la condizione di ciò che sta nel mezzo a due cose, equidistante e quindi più sana. “Giannì come va ? – grido io al mio vicino di casa da una parte all’altra del bell’uliveto che scende lieve verso la valle: bene Gabri, mi accontento!”, è sempre questa la sua risposta, franca e per me rasserenante.

– Gabriele Rossoni, Natale 2022

Nota a margine
Dante Ferretti, marchigiano di Macerata, è uno dei più grandi scenografi della storia del cinema mondiale, vincitore di innumerevoli premi tra cui tre Oscar. Domanda del giornalista ossequioso: “Maestro dove espone i sui tanti riconoscimenti vinti in questi lunghi anni di carriera?” risposta: “su una mensola Ikea”. Dante come il mio vicino Giannì.