In Siria gli antichi dei hanno tuonato

Ho passato i miei vent’anni in Siria, tra le città di Aleppo e Idlib. Studente di archeologia orientale partecipavo orgoglioso alle campagne di scavo che l’Università La Sapienza svolgeva con gloria nell’antica città di Ebla. Conobbi un paese bellissimo, in grande sviluppo economico, ricco di arte antica e per questo lanciato verso un turismo di qualità più di ogni altro paese in quelle aree. Aleppo millenaria, capitale del nord, era meta costante delle mie passeggiate con i colleghi della missione archeologica tra i vicoli di un favoloso suq medievale. Ho conosciuto tanta gente, ospitale e assai desiderosa di avere contatti con noi che eravamo i fratelli mediterranei d’occidente. Eppure, così giovane non ne avevo la giusta percezione, era quella una nazione tarlata nel profondo da anni di governo dittatoriale che di lì a poco avrebbe espresso tutta la sua spietatezza. E così dal 2010 la Siria è stata trascinata nel dramma della guerra civile, nella crudeltà della repressione armata condotta al fianco dell’esercito russo, nella crisi economica, nello scempio di Palmira per opera dell’ISIS fino al disastro mondiale della pandemia. Tredici anni di vera sofferenza, fino a quando le antiche divinità di Teshub e Hadad hanno tuonato con il loro tridente, come un monito verso l’insulsaggine umana, e in una notte è stata l’apocalisse per le regioni di Idlib e Aleppo. Intere città sgretolate come castelli di sabbia e una popolazione nuovamente gettata giù nell’inferno.

Ho passato i miei vent’anni in Siria, era un paese bellissimo, pieno di bambini.

Gabriele Rossoni

Piange la mia Anatolia

Sono giorni tristi, pieni di malinconia. La terra ha tremato, la terra è scivolata in un colpo solo per centinaia di chilometri, così come del resto fa da milioni di anni proprio lì, portandosi via tutto in superficie, uomini, donne, bambini, case e millenni di storia. Inghiottiti in un minuto e ventitré secondi. L’Anatolia è stata spazzata via da un terremoto di proporzioni bibliche, con una magnitudine che ad Amatrice, per quanto disastroso, fu a confronto una barzelletta. E così anche la Siria settentrionale sconvolta in egual misura, con l’aggravante di una storia recente fatta di distruzione, guerra e soprusi.

Sono giorni tristi, pieni di malinconia. Certo per la pietà umana nei confronti di questi poveri sventurati ma sono giorni ancor più tristi per la memoria che mi riporta in luoghi percorsi, studiati, calpestati e profondamente amati in anni di viaggi e di svolgimento di questo splendido lavoro. Con la memoria corro ad un epico viaggio della nostra Flumen proprio nella Turchia Orientale, dove fummo pionieri di un turismo culturale in luoghi davvero poco frequentati, dilaniati da continui conflitti bellici motivati da ragioni politiche, economiche, religiose. Mi riferisco al Kurdistan turco, certamente la parte più povera e ghettizzata della Turchia, abbandonata a sé stessa ma pur sempre culla della civiltà: qui nasce l’uomo come “istituzione”, qui nasce tutto. Terra tra i due fiumi, Mesopotamia Settentrionale, laddove l’altopiano anatolico incontra la Jazeera siriana, dalla montagna al Golfo Persico, dalla vetta arida e rocciosa al deserto. Questa straordinaria magia la vivemmo insieme ad alcuni di voi anni fa, in quei luoghi da leggenda oggi pronunciati in maniera maldestra da cronisti, inviati e giornalisti: Antep, detta Gazi dal 1923, città millenaria, la città dei mosaici di Zeugma, 1500mq di incredibili pavimentazioni emerse in una delle centinaia di ricche ville romane, oggi conservati (?) nel museo cittadino; Urfa, detta Sanli, la città sacra di Abramo, millenario sito mesopotamico. Antiochia, splendida capitale seleucide di età ellenistica, il mitico Nemrut Dagi e tanti altri siti, quasi a ripercorrere quell’indimenticabile viaggio, fino a Gobekli Tepe, la città più antica del mondo, che venne aperta per la prima volta nella storia del turismo ad un gruppo di invasati italiani increduli quali eravamo noi, dispersi tra le gole anatoliche.

Il mio più grande abbraccio va a Gulay e Hakan, nostri colleghi e amici che vivono giorni terribili proprio in quei luoghi. La terra lì trema e distrugge da millenni, ma l’uomo ostinatamente ha fatto da sempre dell’Anatolia l’ancora da cui ripartire, come fu per l’Arca del Diluvio. Terra di cataclismi e da sempre germoglio di vita. Lo sarà anche questa volta.

Marco Mancini